AGONISMO CANNA DA RIVA : LE CIME DELLE CANNE

Ancora oggi mi capita di vedere, sui campi di gara, strani, per non dire poco azzeccati abbinamenti, tra i materiali con i quali è stato costruito il corpo delle canne e le loro cime.

Poichè qualche giorno fa mi è stato chiesto di fare un po’ di chiarezza in merito all’impiego delle cime in carbonio ed in vetro,  proverò a mettere un po’ d’ordine in questo senso, alla luce di anni ed anni di esperienza in merito a modifiche apportate alle mie canne per personalizzarle e per renderle il più possibile adatte alla pesca di determinati pesci ed alle mie caratteristiche tecniche.

Se guardo il mio parco canne, non riesco a trovare un attrezzo che sia ancora uguale a come è uscito dalla fabbrica. Questo è un dato che fa riflettere in merito al fatto che per la specialità canna da riva non esistano produzioni di attrezzature specifiche a livello industriale.

Quindi, in poche parole, tutte le canne devono essere adattate al pesce che viene insidiato ed ai campi di gara sui quali si gareggia.

Presa in mano una canna nuova, perfettamente anellata, il principale tema da affrontare resta quello della cima o punta o ancora vettino.

Esistono due tipi di cima: quelle in carbonio, che poi si dividono successivamente in pieno e cavo e quelle in vetroresina o fibra di vetro.

La differenza sostanziale tra le due famiglie è quella che le cime in carbonio sono molto più reattive rispetto a quelle in fibra e che hanno una perfetta capacità di ritornare nella posizione di riposo dopo ogni tipo di sollecitazione. Ad esempio dopo il lancio oppure quando il vento le fa sussultare.

Sono anche più leggere rispetto alle cime di vetro, più dure e meno sensibili a parità di diametro.

Dall’altra parte ecco che gli apparenti difetti delle cime di vetro diventano pregi quando andiamo a cercare la sensibilità e la morbidezza.

Quindi si può dire che andando a prendere le positività di ogni tipo di cima, possiamo ottenere i risultati migliori per mettere in pesca attrezzi mirati alla tecnica ed al campo di gara che dovremo affrontare.

Le cime delle bolognesi in vendita nei negozi, normalmente sono di carbonio, cave, più o meno dure in proporzione alle caratteristiche specifiche dei vari attrezzi.

Si potrebbe mantenerle tali sulle canne bolognesi impiegate nella pesca delle aguglie con il galleggiante piombato oppure sulle canne adoperate per la pesca dei saraghi durante la mareggiata con la pastella o con il gamberetto vivo, queste tuttavia non sono situazioni da gara.

In questi casi è evidente che non esistono problematiche di sensibilità e che anzi, una cima robusta consente, alle volte, di togliere dalla risacca o addirittura, in situazioni estreme, di alzare di peso anche un pesce oltre al mezzo chilo.

Altra musica quando la pesca con la bolognese assume le caratteristiche di pesca di finezza che tutti conosciamo, in questo caso dobbiamo ricorrere a svettare la punta della canna con una cima di carbonio pieno.

Occorre fare molta attenzione però a non interrompere troppo bruscamente l’azione della parte alta della canna ed a trovare l’esatto equilibrio tra il vettino in carbonio pieno e quel che resta della vetta cava che ne dovrà ospitare l’innesto.

Comunque in questo caso il carbonio è obbligatorio per le caratteristiche che dicevamo sopra: leggerezza, diametro base minimo, capacità immediata di ritornare nella posizione di riposo.

Assolutamente non idonea alla bolognese è l’azione della vetta di vetro per le esatte ragioni contrarie a quanto appena detto.

Il risultato dello “svettamento” si farà apprezzare soprattutto in considerazione della mutata sensibilità che acquisterà la canna nelle varie fasi di pesca, dal lancio, alla ferrata al recupero della preda allamata, dimostrandosi insostituibile nel lavorare prede importanti con terminali microscopici.

 

Ormai da più di trent’anni sto pescando con le cime delle bolognesi “svettate” e posso dire che questa semplice operazione riesce a cambiare radicalmente l’azione della canna al punto da alzare al massimo le sue prestazioni specialmente pescando in condizioni estreme.

Ricordo gare, vinte con buoni margini di vantaggio, dove ho dovuto pescare, se ho voluto prendere i pesci, a causa del mare calmo e dell’acqua cristallina, con filo sottilissimo, addirittura con lo 0,05 mm.

La tecnica era quella classica mirata alla cattura dei muggini schiumaroli.

In moltissime ore di pesca a questi pesci che pur non raggiungendo taglie elevate sono molto combattivi e in grado di rompere il terminale, ho strappato rarissime volte su innumerevoli catture.

Naturalmente è assolutamente vietato “ferrare”, quando il galleggiante sparisce occorre soltanto alzare dolcemente la canna.

Anche la fase di combattimento deve essere condotta con molta cautela ed il salpaggio della preda obbligatoriamente effettuato con l’aiuto del guadino.

In questo caso la cima sdoppiata diventa fondamentale poiché funge da elastico tra il corpo della canna ed il sottilissimo terminale, con una cima originale cava le percentuali di pesci persi salirebbero vertiginosamente.

Stiamo comunque parlando di condizioni veramente al limite che si verificano solo nelle competizioni agonistiche.

Nella pesca di tutti i giorni, tuttavia, la cima sdoppiata garantisce delle prestazioni al di sopra della media, permettendo di impiegare fili sensibilmente più sottili e di salvare prede che altrimenti potrebbero rompere sicuramente il finale.

Una delle poche certezze assolute che trovano posto nel mio bagaglio tecnico di pescatore agonistico o genericamente sportivo è la convinzione che nella pesca non si abbia mai imparato abbastanza e che nonostante decine e decine di anni di esperienza ci sia ancora spazio per riuscire a migliorarsi dal punto di vista tecnico.

Già…..la tecnica, quella che mette in condizioni di prendere i pesci anche nelle situazioni più difficili, superando ogni tipo di problema nel gestire la lenza e consentendoci di “pescare puliti” con una azione efficace e costante.

A mio parere la tecnica altro non è che un insieme di conoscenze e di accorgimenti che rendono l’attrezzatura il più semplice e calzante possibile al nostro modo di pescare. Una serie di soluzioni pratiche in relazione a quelli che sono i problemi connessi alle varie fasi dell’azione di pesca, dal lancio della lenza, alla sua gestione in acqua, alla ferrata, al combattimento con il pesce, fino al momento di metterlo al sicuro nel guadino.

Ogni singolo elemento della nostra attrezzatura andrà quindi analizzato limandone le imperfezioni per renderlo il più possibile performante e la massima attenzione dovrà essere riservata a quelli che possono apparire dettagli a volte insignificanti. Sono proprio questi piccoli dettagli a fare la differenza ed a divenire assolutamente importanti soprattutto quando il pesce risponde.

Il fatto di poter contare su una attrezzatura che abbia le potenzialità di permetterci sempre il massimo di precisione ed efficienza è anche sinonimo di sicurezza e di percentuali insignificanti di perdita di pesci o di errori in fase di ferrata.

Questa lunga premessa l’ho voluta fare poiché quello che sto per raccontarvi deriva da un’esperienza diretta, fatta sulla mia pelle ed il fatto di averla fatta “solo” vent’anni fa, mi fa rimpiangere di non avere più davanti a me anni di attività ad alto livello.

Fino ad allora, forse per il poco tempo a disposizione, forse per pigrizia, forse perché tutti facevano così o meglio perché non ci avevo mai pensato, le cime delle mie canne bolognesi sono sempre state telescopiche come d’altronde il resto della canna.

E’ vero che ho sempre pescato con le cime “sdoppiate”, vale a dire costituite da una base di carbonio cavo sulla quale innestavo una punta in carbonio pieno, ma di fatto i problemi legati agli anelli scorrevoli della cima, li avevo eccome.

Per forza di cose il numero degli anellini scorrevoli sulle cime bolognesi, indipendentemente dalla misura, è dettato dalla lunghezza della punta e può essere di tre o quattro, a seconda dei casi.

Questo vuol dire, corrispondendo ad ogni anellino una piccola sezione di carbonio sulla quale effettuare la legatura, che la cima viene appesantita e che l’azione della stessa viene spezzata nei punti in cui si fermano gli scorrevoli.

I problemi connessi a  questo appesantimento si traducono in fase di lancio a percentuali di scarto sensibili per quanto riguarda la precisione, tuttavia, analogamente la cima appesantita risulta meno pronta ed efficiente in fase di ferrata.

Inoltre sui tubicini di carbonio dove vengono legati gli scorrevoli spesso il filo del mulinello trova modo di appigliarsi obbligandoci ad andare a prendere in mano la cima per districare il groviglio il che comporta appoggiare la canna per terra, ecc. In altri termini una gran perdita di tempo.

Legando invece gli anellini direttamente sul fusto della cima ed eliminando i piccoli supporti scorrevoli si ottengono dei risultati sorprendenti. La cima risulta alleggerita ed in questo modo l’azione della canna partendo dalla cima stessa risulta più pronta, progressiva ed armonica, il che conferisce una maggior precisione in fase di lancio e di ferrata.

A questo punto, tuttavia, la cima della bolognese anellata deve, per forza di cose, essere inserita a baionetta sul porta-cima e qui si creano le prime difficoltà nel senso che essendo queste sezioni coniche e non cilindriche occorre intervenire con una carteggiatura effettuata con la massima cura e con carta vetro molto sottile.

Se il risultato raggiunto non fosse ottimale (la cima balla e fa rumore quando si scuote la canna aperta), occorre pazientemente stendere un velo di colla cianoacrilica sulla base carteggiata della cima, lasciarla indurire e riprendere la carteggiatura fino a quando il nostro vettino, perfettamente inserito nel porta cima per circa 2/2,5 cm. non emette più alcun rumore. Ci si può aiutare anche con la cera della candela che, spalmata sciolta sulla base della cima, riempie, una volta inserita la cima nell’innesto, eventuali imperfezioni ed elimina il problema.

Gli anelli legati fissi evitano al filo del mulinello di trovare appiglio nei canotti, di girarsi sulla cima sottoposta a stress causato dal lancio o dal recupero di un pesce e possono essere messi esattamente nei punti ottimali che stabiliamo senza imprecisioni. A differenza degli scorrevoli, che tendono con il tempo ad attestarsi in posizioni più basse, anche se solo di pochi millimetri, rispetto a dove sono stati programmati, gli anelli fissi restano li per sempre. Infine il trasporto di una cima a baionetta riduce al minimo i rischi di rottura, cosa che con le cime con gli scorrevoli è all’ordine del giorno.

Detto delle cime delle bolognesi, sembrerebbe che per le cime in vetro non ci sia più spazio…..non è assolutamente vero ! Infatti il loro impiego diventa indispensabile in tutte quelle pesche o situazioni dove la loro morbidezza e sensibilità consentono la cattura di pesci sospettosi nelle pesche al tocco, ovvero quando la mangiata si avverte sulla punta della canna.

Ad esempio la pesca a fondo tra i massi o nelle buche, quella contro la parete di una diga, quella a lancetto in mezzo al mare, quella a bombarda delle aguglie oppure ancora quella a mezz’acqua dei pesci bianchi ed infine quella a canna fissa dei pesciolini.

In questi casi la cima di vetro si fa apprezzare per le sue infinite possibilità di impiego in relazione alle infinite variabilità di lunghezza, diametro, azione…..

Nella canna da riva il problema di avere a disposizione canne particolari da indirizzare alla cattura di un singolo tipo di pesce oppure da utilizzare in una specifica tecnica o ancora da poter impiegare con differenti zavorre a seconda delle tantissime variabili meteo marine, ha portato i pescatori sportivi, gli agonisti in prima linea, a disporre all’interno del loro fodero, di una sorta di mini laboratorio nel quale si possono assemblare, nel giro di pochi minuti, canne con caratteristiche ben definite oppure apportarvi quelle variazioni fondamentali che consentono di pescare o stare in pesca nel migliore dei modi in quel particolare caso.

Il grossi problemi di un agonista di canna da riva sono anche quelli del costo dell’attrezzatura e dello spazio nel portacanne. Non si possono, infatti, comprare tutte le canne che servirebbero, dalle mille azioni e caratteristiche diverse e neppure si può pensare seriamente di portarsele appresso sempre tutte.

Con la semplice modifica della vetta e con un minimo di esperienza una singola canna si può impiegare in  tecniche che nulla hanno in comune.

Ad esempio una canna bolognese, inserendo una sensibile cima in vetro si può utilizzare per la pesca degli sparlotti o delle boghe al tocco o con la prolunga, può diventare canna adatta alla pesca contro la calata oppure più semplicemente canna per la pesca in buca.

Tuttavia, il primo e più grande vantaggio di avere a disposizione cime intercambiabili, facilmente sostituibili, sta nella possibilità di impiegarle, a seconda della sensibilità voluta, nella pesca che si sta facendo.

In base ai mutamenti delle condizioni in cui si opera, variazione del moto ondoso, del vento, della corrente oppure del comportamento dei pesci, questi si sono affondati, alzati, allontanati, avvicinati, ecc. quando cioè occorre diminuire o aumentare piombatura, basta sostituire la cima del nostro attrezzo per ottenere la canna adatta ad affrontare le nuove condizioni.

Ecco penso di essere stato esauriente, se ci fossero dubbi sapete come fare a chiedere delucidazioni

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