Normalmente nessuno mi cerca, ma nelle gare tutti mi vogliono, valgo oro…
Come cambia il mondo, come cambiano gli usi, i costumi, le abitudini così anche la pesca sportiva stravolge nel tempo la sua filosofia, il suo modo di essere, i suoi obbiettivi…
Questo, soprattutto, per merito della tecnologia che ha messo a disposizione dei pescatori attrezzature un tempo fantascientifiche: mi riferisco a barche e motori che consentono, unitamente ad una serie di strumenti sofisticati (motor guide, eco scandaglio, GPS, canne, mulinelli elettrici, ecc.), di raggiungere ed individuare i pesci anche a distanze importanti e su fondali abissali.
Oggi che la pesca, nella stragrande maggioranza dei casi, è indirizzata a prede nobili, di serie “A” e per chi, come il sottoscritto, ne ha vissuto il suo evolversi dagli anni sessanta in poi è quasi indispensabile fare spesso un salto nel passato e ricordare, non senza una certa nostalgia, le uscite in mare che facevo da bambino assieme a mio padre su un barchino di legno, utilizzando i bolentini a mano per catturare le boghe, il pesce più insidiato allora, dai pescatori sportivi Liguri.
Questa era una vera e propria tradizione e, soprattutto nella stagione primaverile ed estiva, centinaia e centinaia di barchette, la maggioranza a remi e calate in mare dagli arenili, si radunavano sulle poste più vicine a riva e si dedicavano con impegno alla pesca di questo sparide.
In passato la boga era un pesce apprezzato ed era sempre presente sui pittoreschi carrettini delle “pescivendole” che giravano tra i vicoli, i “carruggi” dei borghi rivieraschi accompagnando gli spostamenti con stridule grida per avvisare del loro passaggio e delle offerte del giorno, naturalmente in dialetto Ligure.
Le massaie calavano i cestini dai balconi o dalle finestre con dentro i soldi (poche centinaia di lire) e recuperavano il pacchetto dei pesci, fasciato rigorosamente nella carta di giornale, preventivamente pesato su antiche bilance meccaniche, quelle con i piatti in ottone.
I tempi, sono passati, ora le pescivendole non esistono più e la boga non compare nemmeno più sui banchi delle pescherie, tranne che in qualche caso, addirittura non rappresenta nemmeno più una preda particolarmente interessante per chi va a pescare dalla barca. E’ diventato, infatti, uno di quei pesci che per la maggior parte della gente è sconosciuto o dimenticato.
Per fortuna, la sua presenza massiccia lungo tutte le coste della nostra penisola ne fanno una delle specie che si cattura più facilmente e per questo motivo durante le competizioni agonistiche di canna da natante o di bolentino, la sua pesca assume un aspetto importantissimo oltre che rappresentare altresì un sicuro divertimento per i principianti o per quei pescatori che non hanno particolari pretese.
La boga vive in fitti branchi e si può veramente incontrare dappertutto: sulle scogliere sommerse, sulle praterie di posidonia, su fondali misti, sui relitti…a volte addirittura sulle distese fangose fino a profondità di circa cento metri.
Si tratta di un pesce che si lascia richiamare e trattenere dalla pastura e questo consente sempre di realizzare buoni carnieri.
Queste caratteristiche, come detto, la rendono una preda semplice da pescare, tuttavia in gara, quando il confronto con gli altri concorrenti diventa serrato, la sua pesca è tutt’altro che facile.
Qui si tratta di essere assolutamente precisi, di mantenere il ritmo e la costanza per tutta la durata della competizione. Infatti le boghe, quando ci sono (scusate la ripetizione) ci sono per tutti e si distribuiscono in maniera sufficientemente uniforme soprattutto quando le gare vengono effettuate dalle barchette nella specialità canna da natante o bolentino.
E’ chiaro comunque che le imbarcazioni sotto corrente sono più favorite rispetto alle altre, ma non è assolutamente un vantaggio insormontabile.
Più determinante la posizione del posto gara nelle competizioni che si svolgono dai barconi, dove la poppa è la favorita. In questi casi, tuttavia, i quattro turni con relativa rotazione del posto consentono, alla fine, di compensare un sorteggio iniziale poco fortunato.
Infinite le variabili che possono verificarsi durante una gara ad iniziare dalla taglia dei pesci, alla loro voracità, alla profondità di pesca, ecc. elementi che obbligano i concorrenti a scelte tecniche determinanti ai fini della classifica finale, come è determinante andare a cercare la fascia d’acqua dove le boghe sono più grosse, magari sono più lente, ma consentono di realizzare maggior peso.
Anche qui, nel campo dell’agonismo, sono cambiate molte cose e soprattutto il livellamento verso l’alto dei pescatori da competizione ha contribuito ad un innalzamento proporzionale dei numero delle catture.
Solo fino a dieci anni or sono, infatti, erano pochi gli agonisti che riuscivano a superare i duecento pesci durante una gara di cinque ore, intervalli compresi, cioè circa poco più di quattro ore effettive di pesca e, per chi riusciva a superare questo limite, la vittoria o in subordine il piazzamento era un fatto scontato.
Ora non è più così e, soprattutto quando si gareggia dal barcone, si rischia di piazzarsi a centro classifica, superati da concorrenti “sconosciuti”.
Anche pescando dalle piccole imbarcazioni, comunque, la musica è cambiata ed a causa del fatto che le barche sono distanti le une dalle altre, una ulteriore difficoltà è rappresentata dal fatto di non riuscire a vedere quale atteggiamento tecnico viene adottato dagli avversari lasciando quindi tutto affidato al modo di interpretare la competizione ed al “senso dell’acqua” degli agonisti facenti parte della coppia in gara.
Canne
Per la pesca agonistica delle boghe occorre una canna di cinque metri dotata di un fusto rigido ed un’azione progressiva e sensibile della cima, molto simile a quelle di scuola “Romagnola” che vengono impiegate in Adriatico per la pesca degli sgombri/sugarelli.
Questa lunghezza è importante poiché occorre gestire una lenza a tre ami con braccioli che possono essere di quaranta, a volte di cinquanta centimetri ed il cui sviluppo totale oscilla intorno ai due metri e mezzo. E’ chiaro quindi come, in queste condizioni, un attrezzo più corto non consenta, soprattutto nella fase dell’imbarco dei pesci, spesso si fanno catture multiple, una corretta azione, anche perché con tre pesci attaccati più la zavorra la cima si incurva e quindi la lunghezza si riduce ulteriormente.
Meglio quindi affidarsi ad una canna lunga almeno il doppio di quanto misura il trave, anche più consona ad affrontare una situazione nella quale occorre “sbilanciare” o addirittura lanciare per andare a pescare a qualche decina di metri dalla barca. Infatti, ci sono situazioni, poche per fortuna, che si verificano ad esempio quando la barca è ancorata distante da un relitto oppure da una formazione rocciosa ed occorre, per catturare, far arrivare la lenza in quel punto.
Un altro motivo che fa preferire la canna lunga è evidente quando il pesce staziona sul fondo o in prossimità di questo. Condizione che impone l’impiego di una lenza dotata di una prolunga in modo che i terminali riescano a pescare a bandiera sollevati dal fondo, anche in questo caso i cinque metri si fanno apprezzare.
Le canne da impiegare dal barcone vengono dotate almeno di un blocco per ridurne la lunghezza in caso di turno a sfavore di corrente. Spesso quando la corrente tira sotto alla barca occorre far cadere la lenza immediatamente sotto in modo da riuscire a pescare in suo favore. Per far questo occorre accorciare la canna di qualche elemento per poi allungarla nuovamente in fase di recupero: meglio così che stare a guardare gli altri che dall’altra parte della barca catturano ad ogni giro.
Anche le canne impiegate per la pesca dilettantistica delle boghe, comunque, non devono essere troppo corte poiché comprometterebbero l’impiego di lenze di misura adeguata. Si potrà tranquillamente scendere di un metro, un metro e mezzo al massimo, conservando tuttavia le caratteristiche tecniche dell’attrezzo in merito alla sua sensibilità.
Mulinelli
Taglia 4000 e 5000 i più impiegati, entrambi rigorosamente caricati con monofilo dello 0,22/0,25 mm. a seconda della profondità di pesca o del fatto di pescare sollevati o appoggiati al fondo.
I più piccoli sono quelli maggiormente usati pescando dalle barchette, mentre la taglia più grossa si fa preferire dal barcone.
Le lenze
La lenza canonica per la pesca delle boghe prevede un trave che può essere costruito con filo compreso tra lo 0,18 e lo 0,22, dal quale si staccano tre braccioli della lunghezza di 40 centimetri.
Ormai, in circolazione, non si vedono quasi più lenze costruite senza l’impiego dei meccanismi di snodo dei braccioli per cui, di seguito, tratteremo esclusivamente delle cosiddette “lenze con i terminali che girano”.
Ribadiamo, in due righe, l’importanza dei meccanismi di snodo.
Per prima cosa assicurano il corretto posizionamento delle esche sulla corrente quando il terminale entra in pesca e si distende su questa, quindi evitano pericolosi grovigli causati dalla rotazione delle esche, infine, in fase di recupero di pesce/i allamato/i evitano l’attorcigliamento del terminale/i attorno al trave.
Nelle lenze da boghe la distanza tra gli snodi è di venti centimetri superiore alla lunghezza dei terminali (50 cm. se i terminali sono 30 cm., 60 cm. se sono 40 cm., ecc.).
Gli snodi vengono posizionati sul trave bloccati da due perline che possono essere a loro volta fermate da nodini a più spire o in maniera più performante: incollate.
Due le soluzioni impiegate: la prima prevede l’amo pescatore, cioè l’amo che pesca sotto il piombo, libero ed è più adatta quando si opera sospesi, mentre la seconda la prolunga per pescare appoggiati sul fondo.
Infatti molto spesso le boghe, soprattutto a causa della pastura o dell’azione di più canne in pesca, si staccano dal fondo per alzarsi fino alle fasce d’acqua mediane o superficiali. Questo consente un’azione di pesca decisamente più veloce, tuttavia più difficile rispetto a quella che si fa normalmente vicino al fondo.
Le boghe a mezz’acqua oppure a galla tendono ad alzarsi per poi riaffondarsi velocemente, ad esempio per il passaggio di un grosso pesce, oppure intimorite dal semplice piombo che picchia sulla superficie: quindi individuare sempre la loro altezza non è assolutamente una cosa semplice.
Inoltre molto raramente restano per tutto il tempo della pescata sollevate dal fondo alla stessa altezza.
Pescandole sollevate, comunque, conviene impiegare la lenza con l’amo pescatore in modo tale che il terminale inferiore peschi sotto al piombo fluttuante sulla corrente.
In questo, modo, soprattutto in gara, quando i pesci stentano a mangiare si verificherà che il terminale più basso sarà quello più catturante rispetto ai terminali più alti che sono raddoppiati dal trave.
Per la pesca sul fondo, al contrario, si impiega una lenza con la prolunga (costruita con le stesse modalità di cui sopra) che potrà essere addirittura allungata ulteriormente fino ad arrivare anche a tre o quattro metri.
Con questa soluzione si possono impiegare zavorre fino a cento/centocinquanta grammi per velocizzare l’azione di pesca che, una volta appoggiate sul fondo, permettono alla vetta della canna di assumere una posizione di riposo e di visualizzare con precisione estrema le mangiate.
Unici handicap: quello di non poter lanciare, costringendo ad una pesca sotto alla barca e dover lasciare, in caso di prolunga XXL, la zavorra in acqua quando si imbarcano i pesci.
Quindi ricapitolando: travi che potranno essere dello 0,18/0,20/0,22 mm. e terminali che in proporzione partiranno dallo 0,12 per arrivare allo 0,16 e che verranno dotati di rinforzo, oppure terminali diretti dallo 0,16 mm. Allo 0,20 mm.
Le lunghezze dei terminali variano dai trenta ai cinquanta centimetri.
Il rinforzo
La boga è uno di quei pesci che sono dotati di una dentatura micidiale in grado di tagliare il terminale e poiché solitamente si pesca con diametri di filo molto contenuti, soprattutto in gara, occorre realizzare un qualcosa che permetta di coniugare finezza e robustezza: questo qualcosa si chiama rinforzo.
E’ una soluzione che risale agli anni “settanta” e che consiste nel legare l’amo su uno spezzone di monofilo di alcuni centesimi di millimetro più grosso di quello impiegato per la costruzione del terminale che viene quindi assicurato a questo mediante un nodo di sangue.
Dopo aver bagnato il nodo, prima di stringerlo, lo si tira bene e si eliminano con precisione le eccedenze con un taglia unghie, in modo che il rinforzo sia il naturale prolungamento del terminale.
La lunghezza del rinforzo ed il suo diametro sono condizionati dalla taglia dei pesci. Ad esempio con terminali dello 0,12 mm. il rinforzo potrà essere dello 0,18/0,20 mm., con terminali dello 0,14 mm. il rinforzo potrà essere dello 0,20/0,22 mm.
La lunghezza del rinforzo varia dai tre ai cinque centimetri.
Il terminale “rinforzato”, in pesca, assume le stesse caratteristiche di sensibilità e finezza di quello pulito, permettendo ai bocconi di essere presentati con la massima naturalezza, ma al tempo stesso con ottime garanzie di sicurezza per quanto riguarda la fase del recupero dei pesci allamati.
Per la costruzione dei rinforzi è indispensabile l’impiego del fluorocarbon viste le sue evidentissime doti di durezza e resistenza all’abrasione che lo contraddistinguono.
Perline doppio foro
Il meccanismo più pratico, funzionale, al tempo stesso semplice e leggero che si può reperire in commercio per la costruzione degli snodi è la perlina doppio foro.
Le misure che ci interessano per confezionare le lenze da boghe sono quelle di diametro 1,8 – 2,2.
Le perline doppio foro, come dice il nome, hanno due fori trasversali uno di diametro maggiore rispetto all’altro, che hanno il compito di ospitare il trave ed il terminale.
Si fissano sul trave della lenza tra due nodini a sei spire e due micro perline forate in maniera che non vadano a strozzarsi sul nodo rendendo in questo modo nulla la loro funzione.
Si possono fissare con colle al cianuro ma occorre fare moltissima attenzione in merito al tipo di filo impiegato ma soprattutto alla colla adatta.
Ormai chi impiega questo sistema di fissaggio conosce a memoria i materiali che adopera e non corre rischi di vedere andare all’aria ore ed ore di lavoro per avere usato colle o monofili incompatibili tra loro.
Resta il fatto che le lenze prive di nodi, come per l’appunto sono quelle “incollate” consentono di impiegare, per la costruzione del trave, monofili più sottili di diversi centesimi di millimetro rispetto a quelli tradizionalmente usati senza correre rischi di rotture.
Limite degli snodi costruiti con le perline doppio foro è tuttavia la difficoltà di sostituire un terminale deteriorato oppure tagliato dai pesci, soprattutto se questo è munito di rinforzo.
Per questo motivo, di solito, si preferisce tagliare la testa al toro e sostituire l’intera montatura, giustificandosi anche con il pensare che la lenza nuova lavora meglio ed è di conseguenza più pescante.
A conti fatti, però, considerato il tempo che occorre per confezionare una lenza e quello che si perde per sostituirla, si può capire il perché questa soluzione non rappresenta affatto quella più pratica ed ottimale.
Perline doppio foro con traccia trasversale per inserirle sul trave
La soluzione più pratica per sostituire un terminale è quella che prevede il suo aggancio direttamente sul trave, per mezzo di una leggera pressione, tra due perline incollate. Per compiere questa operazione occorre avere a disposizione terminali già pronti e dotati di una perlina a doppio foro munita di una traccia trasversale. In altre parole si sostituisce l’intero snodo asportando completamente quello precedente.
Esistono in commercio perline del genere, costruite con un materiale tanto resistente quanto trasparente che hanno una forma particolare che le rende facilmente maneggiabili ed al tatto, anche senza guardare, si riesce a capire, naturalmente con un po’ di esperienza e pratica, la posizione della traccia, il che facilita enormemente le operazioni di sgancio/aggancio del terminale al trave.
Oltre che alla funzione della sostituzione veloce dei terminali, le perline doppio foro con traccia consentono di riuscire a razionalizzare al massimo le lenze permettendo, con piccoli accorgimenti, di poter apportare alle stesse sostanziali modifiche in fase di pesca senza per questo doverle irrimediabilmente compromettere e quindi sostituire.
Le perline doppio foro con traccia si possono inserire anche sulle lenze fatte con perline doppio foro normali, per la sostituzione di un terminale, a patto che la distanza tra le perline incollate ne consenta l’aggancio, senza asportare la perlina già esistente e non creano alcun problema.
Per le lenze da boghe si impiegano le misure più piccole ovvero le numero 1 e 2.
Un’unica lenza per affrontare atteggiamenti di pesca differenti.
Le lenze canoniche prevedono normalmente tre snodi centrali dai quali partono altrettanti terminali, se tuttavia nella parte inferiore ed in quella superiore della lenza, quelle cioè vicine all’asola destinata alla zavorra ed al moschettone che collega alla lenza del mulinello, si incollano altrettante coppie di perline, esiste la possibilità di variare a piacimento l’altezza di un terminale.
Spostando quello che lavora più alto nell’attacco più basso, immediatamente sopra al piombo, si passa da una lenza con i terminali a bandiera ad una lenza con l’amo pescatore, viceversa spostando il terminale più basso nell’attacco più alto si passa ad una lenza con la prolunga, senza per questo dover intervenire tagliando o aggiungendo monofilo.
Inutile dire che queste soluzioni sono possibili unicamente impiegando le perline doppio foro con traccia.
La lenza alternativa
Impiegando perline a doppio foro normali, per sostituire velocemente un amo tagliato, si ricorre ad una interessante e veloce soluzione che consiste nel legare direttamente questo sul terminale.
Per far questo occorre impiegare terminali di diametro decisamente maggiore rispetto a quelli che abbiamo descritto più sopra, sempre per evitare che i pesci riescano a tagliarli o a danneggiarli, con i loro denti.
Considerato, tuttavia, che la lenza non deve mai perdere le sue caratteristiche fondamentali ovvero deve essere sempre catturante al massimo, vediamo di dare un colpo al cerchio ed uno alla botte realizzando un calamento che prevede il trave più sottile dei terminali.
Già avete capito bene: ad esempio trave dello 0,18 mm. e terminali diretti dello 0,22 mm.
Questa soluzione è decisamente performante quando i pesci mangiano senza scrupoli, in caso contrario occorre tornare alle soluzioni canoniche.
Il fluorocarbon
Il fluorocarbon a causa della sua durezza si fa decisamente preferire ai monofili classici per la costruzione dei terminali. La sua resistenza all’abrasione consente catture a ripetizione che non sono assolutamente paragonabili alle prestazioni del classico filo di nylon, più morbido ed al tempo stesso tenero e fragile.
Zavorre
Abbiamo detto della possibilità di trovare le boghe staccate oppure in prossimità del fondo ed abbiamo anche parlato di come differenziare le lenze per riuscire ad insidiarle in maniera ottimale.
Nelle gare di pesca da natante il peso del piombo è stabilito in un minimo di trenta grammi che spesso pescando sollevati è persino esagerato poiché tende ad incurvare eccessivamente la punta della canna e non si riescono a vedere le mangiate.
Quindi, laddove sono permesse piombature inferiori è opportuno adeguarsi a questa liberalizzazione ed impiegare piombi più leggeri.
Al contrario quando la pesca viene effettuata in prossimità del fondo, per velocizzare l’azione, risparmiando secondi sulla caduta della lenza, la piombatura sale decisamente per arrivare a grammature che potrebbero anche apparire addirittura esagerate.
Tuttavia, niente paura, con la prolunga, la zavorra lavora appoggiata sul fondo e la punta della canna è completamente scarica in modo da poter avvertire o visualizzare anche la minima mangiata.
Attenzione però, in certi casi, soprattutto pescando dal barcone, le boghe si posizionano sulla corrente, distanti alcune decine di metri, e l’uso di piombi troppo pesanti, abbinati alla prolunga ed al fatto di dover pescare sotto alla barca risulta controproducente.
Meglio quindi, in questa situazione, giungere ad un compromesso ed impiegare zavorre che permettano alla lenza di allontanarsi dalla barca spinta dalla corrente, raggiungendo così i pesci.
In tutti i casi si usano piombi bianchi (plastificati o semplicemente colorati) per permettere ai pesci di individuare con più facilità i bocconi.
Esche
Esca principe per la pesca delle boghe, dalla barca, è lo scampo, o meglio la sua candida polpa, tuttavia, molto spesso questo succulento boccone risulta essere troppo fragile e per i pesci è semplice ripulire gli ami, soprattutto se la loro taglia non è molto grossa.
Molto meglio il gamberetto di paranza, il gambero argentino e la mazzancolla, esche decisamente più tenaci che consentono di costruire inneschi resistenti ed adescanti.
Buoni risultati si possono ottenere anche con piccole striscioline di calamaro (battuto), tuttavia il confronto con i crostacei di cui sopra è improponibile e poiché in gara ogni minimo dettaglio per catturare viene curato al 100% , questa soluzione è quasi sempre scartata.
Innesco semplice.
Impiegando la polpa dei crostacei la maggioranza degli agonisti tende a tagliare i bocconi con i denti per confezionare i bocconi da innescare.
Con questo sistema si ottengono diversi importanti risultati:
a) quello di riuscire a preparare bocconi sempre perfettamente adeguati al pesce che si sta pescando, intervenendo sulle loro dimensioni;
b) i bocconi non restano appiccicati alle dita poiché la saliva, con i suoi enzimi, tende a cuocere le membrane delle cellule esterne;
c) si conferisce al boccone la voluta morbidezza;
d) la comodità di afferrare i bocconi preparati sulle labbra velocizza le operazioni di innesco.
Innesco legato
L’innesco della polpa del gamberetto o della mazzancolla diventa veramente micidiale se viene effettuato rinforzandolo con il filo elastico, a volte, con un solo boccone, si possono catturare anche tre o quattro pesci, inoltre la sua resistenza sull’amo non consente ai pesci di riuscire a sbocconcellarlo permettendo di effettuare triple e doppie a ripetizione, il che in una gara, soprattutto quando si pesca a diverse decine di metri di fondo si può tradurre semplicemente in piazzamento assicurato.
Per effettuare l’innesco di cui sopra si procede così:
- dopo averlo privato del guscio, con un coltello molto affilato si divide per la sua lunghezza, in quattro parti, cercando di farle più o meno uguali;
- le parti vengono infilzate su un ago per il verso più lungo, facendo attenzione che l’ago resti al centro;
- si passa quindi alla legatura che consiste nell’avvolgere con il filo elastico, molto stretto i filetti di gambero infilati sull’ago;
- si sfila quindi l’ago dalla striscia ottenuta aiutandosi con uno straccio;
- con un paio di forbici si provvede a ricavare i bocconi che devono essere molto piccoli, in questo caso sono grossi come un paio di chicchi di riso cotto e vanno bene su un amo del n. 12/14;
- l’innesco viene fatto cucendo appena il boccone in modo che la punta dell’amo resti scoperta ed il pesce possa ingoiare l’esca in un solo boccone.



Quando le boghe sono in pastura doppie e “triple sono ricorrenti


Come costruire le lenze per insidiare le boghe


Gli inneschi
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