Costa ligure e febbre da orate

orate da riva

Ricordate quel vecchio ma famoso film di John Travolta dal titolo “La febbre del sabato sera”? Era la storia di un ragazzo che nutriva una esagerata passione per il ballo e che al sabato sera, poteva cadere il mondo, si trasformava e da semplice garzone di bottega, diventava il re della pista.

Ebbene, curiosamente,  tutte le volte che mi sveglio alle tre di mattina per giungere a buio sulla scogliera a pesca di orate, mi rendo conto che quella sfrenata passione, quella febbre, ce l’ho anche io nel sangue, e forse la mia malattia è ancora più grave….

A volte a quell’ora di notte, per strada, vedo gruppi di giovani che tornano da ballare e non posso fare a meno di pensare alle note di Saturday Night Fever dei Bee Gees, la colonna sonora del film di cui sopra…

Per un verso o per l’altro sono spinto da dentro da un qualcosa di indefinibile, irrefrenabile, nel mio caso si chiama “febbre da orate” ed è anche contagiosa….

Occhi appena aperti, un caffè preso di corsa, la macchina è già carica dalla sera prima e via alla volta della meta: le orate soprattutto nella bella stagione entrano in pastura che è ancora notte.

Con la luce precaria di una torcia frontale si appronta la postazione, si montano le canne e si iniziano a fare i primi lanci:  gesti che ormai sono diventati di routine ed a volte si ripetono nello stesso ordine cronologico.

Tutte le mattine per mesi con una ritualità che ha un qualcosa di magico, il tutto avvolto dal buio impalpabile della notte.

Ancora per una volta i tempi sono stati rispettati e le canne sono perfettamente in postazione. Nel cielo non c’è ancora segno dell’alba.

Questo è il momento più brutto: l’attesa quasi angosciosa della prima avvisaglia di mangiata, del primo segnale, quello che ci dirà che i pesci, anche questa mattina, sono arrivati puntuali all’appuntamento.

Ecco che quando un leggero chiarore annuncia il giorno la punta  di una canna ha un sussulto, quasi istintivamente arriva la ferrata ed immediatamente nel manico della canna si avvertono le inconfondibili zuccate… si è lei, è proprio lei, la regina del mare….l’orata….pochi minuti di lotta ed il pesce viene raccolto dal guadino.

Già,  questo potrebbe già bastare, la cattura di un solo pesce, tanto è bella ed appagante, potrebbe servire a giustificare le ore di sonno perse, i preparativi, ma la pescata continua ed il sogno prosegue ad occhi aperti, mentre il chiarore del giorno si fa sempre più concreto ed i contorni delle cose, soprattutto quelli delle cime delle canne si iniziano a distinguere nitidamente.

Chi non ha mai catturato un’orata non può comprendere cosa voglia dire metterla nel guadino ed ammirarne la stupenda livrea, la corona regale che cinge il suo grosso testone…E’ un pesce che merita rispetto e le sensazioni che il pescatore prova, negli attimi successivi alla cattura, sono indescrivibili.

Premessa

Il Mar Ligure negli ultimi anni è decisamente cambiato, è sotto i nostri occhi e cambia ogni giorno di più, a volte è addirittura sconcertante riscontrare come i cambiamenti avvengano in maniera così repentina: ogni giorno rappresenta una realtà diversa dal precedente.

Oggi questo pesce, domani quell’altro, non ci sono certezze, non esistono più regole precise. Occorre vivere alla giornata, occorre approfittare delle occasioni che si presentano, sposando senza indugio quelle tecniche o adattandole a quei sistemi di pesca che garantiscono le migliori performance per la cattura di quella specie piuttosto che di quell’altra.

Quindi parola d’ordine “ecletticità”, nel suo significato più ampio, ovvero pescare a 360°, non importa che si sia fatto voto di fedeltà ai rigidi canoni di quella o di questa tecnica di pesca.

Per fortuna la pesca è una disciplina che permette alla nostra mente assoluta libertà, non esistono limiti, né imposizioni…di questo dobbiamo ricordarcene sempre, in ogni momento.

Aver abbracciato un sistema di pesca che non prevede determinate “variazioni” non vuol dire non poterle fare. Ma poi chi ha stabilito le “regole”? Chi ha imposto l’uso o meno di quel determinato attrezzo, oppure vietato questo o quell’accessorio, questa o quella esca?

Le regole, chiamiamole in questo modo, le hanno codificate quelli che scrivono sulle riviste oppure compaiono in televisione, ma in maniera del tutto arbitraria e soggettiva. Non sono i Dieci Comandamenti né tanto meno sono stati dettati dal Padre Onnipotente.

Chi le legge è padrone quindi di accettarle o di non prenderle in considerazione: nel primo caso sarà soltanto un anonimo seguace di una particolare tecnica, nel secondo un vero pescatore.

Al diavolo i puristi allora, al diavolo quelli che ostinatamente devono prendere il pesce solo in quel modo, con quell’attrezzatura, con quella lenza, con quell’esca….

Noi preferiamo adattarci alla situazione, trovare il modo migliore per catturare, in qualsiasi condizione e qualsiasi tipo di pesce, sia che si tratti di orate, sia che si tratti di pesci meno nobili, tuttavia non meno sportivi: ci sembra un segno di rispetto sia nei confronti del nostro mare che dei suoi abitanti.

Anni da orate

Sono comparse ormai da diversi anni in maniera veramente consistente, forse soltanto per un avvicendamento naturale di specie. Il fatto è che così tante orate, come nell’ultimo decennio, nel Mar Ligure, non si erano mai viste prima.

Le hanno prese tutti, come si usa dire “ le hanno prese cani e porci…”, un po’ dappertutto, lungo tutto l’arco della costa Ligure.

In determinati tratti il fenomeno è stato veramente importante, in altri un po’ meno ma si è verificato e continua a verificarsi.

Ormai questi pesci accostano dalla primavera in poi, con banchi più o meno di taglia che si  avvicendano con molta continuità fino all’inizio dell’inverno.

Soggetti che vanno da appena sopra alla misura di legge che ricordiamo essere di venti centimetri per arrivare a pesci il cui peso supera abbondantemente il chilogrammo, per una taglia media che è quasi sempre stata al di sopra dei tre etti.

Qualcuno diceva, anni or sono, che si trattava di pesci scappati o liberati dagli allevamenti, secondo noi a torto. Infatti sono perfetti, dalla testa alla coda, hanno le pinne sviluppate e abituate a nuotare, i denti abituati a masticare e le squame perfettamente distribuite lungo tutto il corpo, non un segno riconducibile alla “vasca di accrescimento”.

Gli spot e gli orari

Le orate, nel loro continuo migrare alla ricerca del cibo, popolano con assoluta disinvoltura i fondali sabbiosi o fangosi a ridosso delle scogliere naturali o artificiali, degli arenili, in prossimità delle foci dei corsi d’acqua, negli ambiti portuali….insomma un po’ ovunque.

Addirittura in alcuni spot non si deve ricorrere ad alcun tipo di pasturazione preventiva: alla prima uscita si fa bottino, con una facilità ed una disinvoltura veramente impressionante.

Come  detto prima le orate sono prevalentemente mattiniere e molte volte mangiano anche durante la notte. Altro orario da non dimenticare è quello centrale della giornata e quindi il tramonto.

Tuttavia l’alba rappresenta da sempre, nell’immaginario collettivo del pescatore da orate il momento magico, quello a cui nessuno riuscirebbe a rinunciare, naturalmente avendo tempo a disposizione per poterlo fare.

La pesca con i pasturatori

La lunatica ed imprevedibile orata, che ricordiamo essere un grufolatore e che quindi è solita ricercare il boccone sul fondo, si può insidiare in diversi modi: primo tra tutti la pesca a fondo generica, quella che si effettua anche all’interno dei porti con i granchi o le cozze, oppure il surf casting , il beach ledgering o la bolognese.

Quest’ultima tecnica, tuttavia, è di gran lunga la meno redditizia poiché il boccone è perennemente soggetto al movimento e l’orata predilige trovare l’esca ferma, appoggiata sul fondo.

Il sistema del pasturatore piombato, ovvero del ledgering, ormai è quello più adottato sulla costa Ligure e da anni regala ai suoi praticanti un sacco e mezzo di soddisfazioni.

Il teatro di questa pesca è molto ampio e per esprimersi al meglio ha solo bisogno di avere davanti alla postazione di pesca un fondale sabbioso o fangoso privo di ostacoli, oppure un canalone libero precisamente individuato previo sopralluogo con la maschera e le pinne o con una barchetta.

Questa tecnica che prevede l’impiego di un pasturatore piombato che ha la duplice funzione di zavorra e di distributore di pastura, se praticata nella maniera corretta diventa veramente micidiale, ma soprattutto stupisce per la facilità con la quale si possono effettuare le catture.

La filosofia della pesca con i pasturatori sul fondo è quella di presentare ai pesci il boccone in mezzo alla pastura, in maniera tale che questi, attratti e distratti dalla grande abbondanza di larve che strisciano sul fondo non esitino più di tanto ad attaccarlo e ad ingoiarlo e lo facciano in tutta tranquillità poiché l’esca è perfettamente identica alla pastura.

In questa pesca il terminale lavora disteso sul fondo e per questo motivo è consentito utilizzare fili di diametro maggiore rispetto a quelli normalmente impiegati, non illudetevi tuttavia di utilizzare degli spaghi.

Si tratta di una pesca indirizzata in particolare alla cattura di pesci che entrano sulla pastura, quindi una pesca di attesa da effettuare a canne posate sul picchetto.  Generalmente si pesca con tre canne della lunghezza di circa cinque metri sulle quali vengono montati mulinelli taglia 3000, 4000 o 5000 caricati con monofilo dello 0,22/0,25 mm.

Vanno benissimo le canne da beach ledgering a causa della sensibilità delle loro cime ad innesto oppure quelle da bombarda pesanti o ancora quelle da surf o da sbilancio con le cime modificate e rese più sensibili.

La lunghezza degli attrezzi è dovuta al fatto di dover impiegare terminali da un paio di metri ed oltre, costruiti in fluorocarbon del diametro variabile dallo 0,14 allo 0,18 mm. sui quali si legano due ami in serie, uno vicino all’altro.

Altra opportunità della canna da cinque metri è quella di riuscire a gestire al meglio una bella preda allamata dalla scogliera e di consentire di operare in sicurezza nelle condizioni di mare mosso.

La lenza

Per quanto riguarda la montatura si raccomanda estrema semplicità: il pasturatore  scorrevole sulla lenza madre mediante una semplicissima girella va a stopparsi su un paracolpi a ridosso di una seconda girella, questa con moschettone (del n. 18/20), dalla quale parte l’unico bracciolo lungo un paio di metri .

I pasturatori

Si impiegano pasturatori piombati a “saponetta” che vanno da un minimo di  trenta grammi in su e che verranno lanciati, senza per questo forzare più di troppo il tiro, quindi dopo una sosta di alcuni minuti sul fondo, recuperati, ogni tanto, di qualche metro per agevolare il loro svuotamento, in modo da creare una sorta di “strada pasturata”, distendere il terminale e  far muovere anche il boccone sul fondo per renderlo visibile.

I pesci in questa pesca, infatti, non vanno cercati in mezzo al mare…saranno loro che verranno a cercare la nostra pastura: noi saremo li ad attenderli…

I pasturatori di questo tipo sono dotati di una girella con il moschettone che serve per collegarli alla lenza. Abbiamo provato a renderli più corrispondenti alle nostre esigenze inserendo un pezzo di termo restringente che parte dalla deriva in plastica del pasturatore ed arriva a coprire quasi interamente la girella: il risultato è stato quello di ridurre i grovigli al minimo.

Altro accorgimento per gestire nella maniera corretta il lungo terminale è quello di frenare, un momento prima che il pasturatore cada in acqua, il filo che esce dalla bobina per permettere al bracciolo di distendersi.

Per adeguare lo svuotamento al nostro ritmo di pesca, cioè al tempo necessario a far girare le canne, oppure soltanto per regolare la pasturazione ed allungare i tempi di svuotamento si impiega il nastro adesivo che viene arrotolato in giro al pasturatore quando questo è asciutto. Questa operazione non riesce se il pasturatore è bagnato per ovvi motivi.

Il nastro adesivo ha il duplice compito di chiudere parte dei fori e di irrobustire la struttura di plastica del pasturatore che alla lunga tende a spaccarsi a causa degli stress causati dal lancio e dei colpi contro agli scogli.

I due ami in serie

Sul bracciolo si legano due ami in serie, uno vicino all’altro, ami che devono avere il potere di conficcarsi in palati difficili, ma che devono essere anche in grado di bucare con facilità le piccole larve impiegate per esca, anche dopo diverse catture. Vanno perfettamente bene ami a gambo corto bruniti, storti, del n. 12/14/16.

Ami che devono avere caratteristiche estremamente performanti infatti devono essere duri al punto giusto per riuscire a bucare e resistere alle mascelle delle orate quando masticano il boccone, non si devono spuntare mai ed anche nel caso che la loro struttura venisse alterata dalla bocca del pesce, devono essere sufficientemente elastici per riprendere la loro forma originale agevolmente, con l’aiuto di un paio di pinzette.

L’esca e l’innesco

Pescheremo con il bigattino impiegando la larva sia per esca che per riempire il pasturatore. Già, il bigattino o larva di mosca carnaria, un’esca contestata e poco amata sulla quale girano da anni vere e proprie leggende metropolitane.

Il bello che molti sostenitori del fatto che il bigattino sia un’esca schifosa, non esitano ad innescare con disinvoltura il verme del sangue oppure l’ancor più inquietante verme di rimini!!!!, ma lasciamo perdere questo discorso.

Il bigattino, per quanto riguarda il primo impiego, si potrebbe sostituire con un verme o con un piccolo granchio, nel secondo caso risulta invece, assolutamente, insostituibile.

E’, infatti, impensabile immaginare l’uso di altri tipi di larva o di verme, costi a parte, nessuna esca ha le potenzialità della larva di mosca carnaria in fatto di comportamento e di resistenza della stessa in acqua nonché di vitalità.

L’innesco viene fatto, puntando appena, a seconda della misura dell’amo impiegato: 3,4,5 bigattini su ogni amo. Si ottiene una sorta di animaletto con tante zampine che “cammina” letteralmente sul fondo.

Chissà a cosa pensa l’orata quando lo attacca, forse ad un polipetto, ad un verme, ad un granchio…l’importante è che lo attacchi.

Già nella prima fase di approccio al boccone, quando inizia a masticare quanto ha raccolto dal fondo, l’orata a volte si pianta uno oppure entrambi gli ami nell’apparato boccale, altrimenti, in altri casi, vista la morbidezza di quanto gli viene proposto, non esita ad ingoiare con una fase di masticazione approssimativa.

La pastura

Prima di iniziare a pescare si può pasturare con i bigattini che verranno incollati insieme a qualche manciata di sabbia completamente asciutta o ghiaia di granito e che saranno poi lanciati con l’aiuto di un fionda per pastura a distanze differenti in maniera da creare una sorta di “striscia” sulla quale entreranno i pesci.

Anche i pasturatori verranno lanciati in mare a distanze diverse, allungando il lancio sulla canna sopra corrente, per tenere più corte quelle in favore.

E’ importante comunque la precisione e la costanza nei tempi di lancio, “invito” e recupero: insomma con tre canne in pesca non c’è tempo per guardare il magnifico spettacolo del sole che sta nascendo e del meraviglioso panorama offerto dalla costa della Liguria.

Per  questa tecnica, come per tante altre, vale anche il discorso pasturazione preventiva: solo una buona  e costante preparazione del posto potrà garantire ottimi e duraturi risultati.

Tecnica di pesca e strategie

Le tre canne non servono per vedere più mangiate, anzi a volte la stragrande maggioranza delle abboccate avviene sulla canna più a corrente delle altre. Le tre canne invece servono per ottenere una zona pasturata più uniformemente, ma soprattutto per sostituire la canna che per un motivo o per l’altro non è in pesca.

Il recupero di un pesce, la sua slamatura, la sostituzione di un terminale, un amo rotto, un groviglio, oppure semplicemente il recupero per sostituire l’esca e caricare il pasturatore, comportano tempi morti che, soprattutto nelle fasi più concitate della pesca, ovvero quando le orate entrano in pastura e stanno mangiando, vogliono dire pesci in meno…

Con tre canne si riesce a sopperire ai vuoti e cosa importante, almeno due canne sono sempre in pesca.

Guadino lungo e come si deve usare

La progressiva riduzione dei fili impiegati sui terminali, conseguenza della ormai sempre più marcata furbizia dei pesci, non consente quasi più di alzare di peso i pesci a fine combattimento, ma impone di raccoglierli in un capace guadino.

Stiamo parlando di pesci che possono essere anche soltanto due o tre etti di peso, ma che sicuramente è meglio che finiscano in tavola piuttosto che restino in mare, soprattutto se si tratta di orate.

Vediamo innanzi tutto come il guadino si è evoluto in quella che è la sua attuale struttura.

Oggi esistono varie teste di guadino, tutte rigorosamente di forma ovale o rotonda  con diametri che, per la pesca da riva, variano dai 45 ai 70 cm.

La testa del guadino è in alluminio, rigida, mentre ormai quasi tutte le reti sono in nylon idrorepellente in modo che possano asciugare subito e non trattenere ed emanare odori poco gradevoli.

Esistono reti di maglia differente, a fondo piatto, per facilitare la presa del pesce, oppure a sacco  per le pesche dove non occorre la velocità, vale a dire dove si insidiano pesci di taglia e le catture non sono frequenti.

In tutte le condizioni di pesca dove l’azione può essere effettuata con mare mosso o agitato, vale a dire in mare aperto, è meglio impiegare una maglia larga, ad esempio 20 mm., in modo che un’eventuale ondata con eserciti troppa forza contro la rete del guadino e riesca a spostarla via mentre si cerca di indirizzarvi dentro la nostra preda.

Fino a questo punto abbiamo parlato delle teste dei guadini, spendiamo ora, prima di parlare dei pali che le dovranno ospitare, due parole su come dovrà essere eseguita la delicata operazione della guadinata.

E’ bene, innanzi tutto, ricordare che la prima preoccupazione, una volta allamata una preda importante, non deve essere quella di prendere in mano il guadino, ma quella di cercare di contrastare nella maniera migliore tutte le fughe del pesce.

Questa fase è la più importante in assoluto, il guadino può aspettare, certamente dovrà essere aperto ed a portata di mano, ma per il suo impiego c’è tempo.

Una volta che il pesce si è stancato a sufficienza, dove stancato vuol dire che si lascia trascinare sulla superficie, ecco che prenderemo il guadino in mano e senza metterlo il acqua, ma trattenendolo fuori da questa, gli faremo avvicinare la preda.

Soltanto all’ultimo momento, il guadino dovrà entrare in acqua e raccogliere il pesce mentre questo sta arrivando, trascinato sulla superficie.

Questa operazione dovrà essere eseguita tipo cucchiaiata, repentinamente, ma anche molto dolcemente in modo da non spaventare il pesce che potrebbe avere una inaspettata reazione.

In questa fase si riesce ad apprezzare la validità della testa rigida che consente di entrare in acqua conservando la sua forma a differenza di quei vecchi guadini a testa triangolare rovesciata, con palo in alluminio telescopico che, oltre ad essere corti e pesanti, avevano anche il difetto di avere il lato superiore di cordino di nylon che, naturalmente nella fase più critica tendeva a piegarsi senza riuscire a raccogliere la preda.

Un altro importante consiglio è quello di tenere sempre la base del palo del guadino sul braccio, appoggiata sul gomito vicino al fianco, in modo che non sia alla massima estensione, ma per poter disporre ancora di una riserva di lunghezza da sfruttare se necessario.

Molto spesso si vedono pescatori che non appena ferrano un pesce mettono il guadino in acqua e li lo lasciano per tutta la durata del combattimento, è naturale che il pesce non appena lo vede inizi a fare il diavolo a quattro.

Riprendiamo il discorso sull’attrezzo per parlare dei pali per guadino dicendo subito che anche in questo campo il carbonio è diventato il padrone assoluto.

Il palo deve essere infatti assolutamente rigido ed allo stesso tempo leggero e maneggevole in modo da poter essere manovrato con estrema praticità e facilità.

Sono stati quindi costruiti pali di tutte le lunghezze, quelli che maggiormente corrispondono all’identikit di cui sopra sono i pali ad innesti.

Questi consentono infatti di poter essere facilmente adattati alla situazione di pesca riscontrata, riducendo o aumentando la loro estensione a seconda delle necessità.

La lunghezza ideale del palo, comunque, nella pesca dalla scogliera è di circa cinque metri, in modo che l’estensione totale del guadino, una volta avvitata la testa sarà di circa cinque metri e mezzo.

Il treppiede

Operare con le canne dalla scogliera implica alcune problematiche che se non vengono risolte con soluzioni pratiche e soprattutto funzionali rischiano di compromettere anzi di rendere l’uscita una vera e propria angoscia o meglio un vero e proprio fallimento.

L’attrezzatura che ci portiamo appresso deve essere sempre comprensiva di tutte le sue componenti essenziali, in poche parole a casa non dobbiamo lasciare nulla.

Immaginate di recarvi di notte su una scogliera e di aver dimenticato il treppiede: potete farne a meno? Credo proprio che questo non sia possibile.

E’ vero, si potrebbe pescare a canna in mano, tuttavia con un solo attrezzo, oppure appoggiando le canne sugli scogli, magari una a destra ed una a sinistra, ma in fatto di tempestività e praticità di gestione delle canne in pesca la nostra sfida è già persa in partenza.

Il treppiede permette, infatti, di essere facilmente posizionato sulla scogliera,  è stabile e consente di appoggiare anche tre canne in uno spazio ristretto, tenendole se è il caso ben alte con la punta al di sopra delle creste delle onde, quasi in posizione verticale, oppure, in condizioni di mare calmo di tenerle basse, inclinate, di osservare perfettamente le cime durante la fase di attesa della mangiata, di appoggiarle per le varie incombenze dell’innesco, della sostituzione dei terminali, della slamatura delle prede….

Il treppiede è costituito da tre aste metalliche, di alluminio anodizzato, che sono raccordate al vertice o in prossimità di questo da uno snodo sul quale è montato un semplicissimo attrezzo che ha il compito di fungere da appoggio per le canne.

Altro discorso deve essere fatto per il treppiede da sabbia.

Sulla parte posteriore di questo scorre un  congegno munito di due bicchierini, in metallo o plastica, nei quali vengono inserite le basi delle canne e che ha la facoltà, scorrendo su e giù di essere bloccato all’altezza desiderata a seconda delle necessità per alzare o meno le punte delle canne sopra la risacca.

Il treppiede da spiaggia ha tuttavia il limite di poter ospitare soltanto due canne in pesca ed è particolarmente adatto alla pesca anche su spiagge di ciottoli e pietre, per la sua capacità di riuscire a penetrare facilmente in questi materiali.

Sia operando dagli scogli che dalla spiaggia occorre sempre inserire un peso sul gancio posto sotto il vertice, per evitare che possa imbattersi lateralmente e cadere, portandosi appresso le canne.

Il treppiede una volta smontato riduce al minimo il suo ingombro e può benissimo essere riposto nella sacca porta canne.

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