ORATE nel Porto

Avete mai visto salire verso la superficie dell’acqua una bella orata attaccata alla vostra lenza, dopo un combattimento durato alcuni minuti che ha messo a dura prova le vostre capacità nel contrastare le lunghe filate del pesce, le imprevedibili virate, le possenti testate e quanto altro è venuto in mente al pinnuto per sfuggire all’epilogo della cattura?

Ebbene si tratta di una emozione veramente indescrivibile: il cuore batte a mille, l’adrenalina sale, le gambe tremano come le braccia.

Dall’acqua ci viene trasmesso un inequivocabile segnale visivo quello del riflesso dorato proveniente dal pesce ed anche il più esperto dei pescatori, il più abituato a catturare questi magnifici animali, prova le stesse emozioni di un neofita.

L’ultimo atto, quello di mettere “sua maestà” dentro il guadino e di alzarla fuori dal suo elemento, non è che il preludio all’immensa gioia nel vederla finalmente in tutta la sua regale bellezza, adagiata nella rete, ma ancora fiera ed indomita.

Abbiamo parlato dell’orata come della regina del mare ed in effetti il suo portamento, le sue caratteristiche ne fanno un pesce che ha tutte le carte in regola per essere considerato tale.

E’ quindi chiaro il motivo per il quale tantissimi pescatori sportivi si dedicano alla pesca delle orate quasi a tempo pieno mirando la loro ricerca esclusivamente a questi pesci con inneschi selettivi, appostamenti ad ore specifiche in zone conosciute, speciali rituali, ecc..

“Piuttosto prendo cappotto, ma se devo vedere una mangiata voglio che sia quella di un’orata” è la classica frase che viene normalmente detta dagli “oratari” una categoria molto particolare di pescatori, quasi una setta, oseremmo dire, che fa della cattura dell’orata il punto di arrivo di ogni pescata.

Da non sottovalutare poi il prestigio che un buon “orataro” acquista nei confronti degli altri pescatori con una bella cattura o con catture multiple, in modo particolare nei confronti di quelli che si dedicano alla sua stessa pesca .

Sono moltissimi i seguaci di questa filosofia e sono disposti ad innumerevoli sacrifici per raggiungere il loro obiettivo: si alzano nottetempo per giungere sul luogo di pesca prima che il sole si sia levato, restano li ad attendere un’abboccata per ore ed ore senza perdere la fiducia ed il più delle volte non trovano risposta ai loro sforzi e non vengono ripagati adeguatamente.

Ma il motivo di tanta ostinazione oppure il premio ai tanti sforzi, sta proprio nelle prime righe dell’articolo, quando vi abbiamo chiesto: “Avete mai visto salire verso la superficie dell’acqua una bella orata………..”.

  • Caratteristiche dell’ambiente portuale e motivi per i quali le orate vi entrano.

L’orata è un pesce che popola tutto il Mediterraneo e che si può incontrare un po’ dappertutto: in mare aperto sui fondali misti a posidonia, sulle secche sommerse, davanti agli arenili sabbiosi, alle scogliere artificiali o naturali, ma l’ambiente che non viene mai disertato da questo pesce durante il suo continuo vagabondaggio alla ricerca del cibo è quello portuale.

Le pareti delle banchine di cemento dei porti sono, infatti, un’inesauribile riserva di cozze la cui crescita viene oltremodo favorita dalla qualità delle acque che non si può certamente definire “buona”.

Negli specchi d’acqua dei grossi porti commerciali, dove è più facile incontrare le orate, spesso si gettano, inoltre, scarichi di acqua dolce che contribuiscono a far diminuire il grado di salinità favorendo in questo modo la presenza di quei microrganismi che stanno alla base della catena alimentare.

Queste acque vengono definite “grasse” e sono meta di un continuo peregrinaggio non soltanto da parte delle già citate orate, ma anche di muggini, branzini, saraghi, boghe, menole, occhiate…

Oltre alle cozze, l’ambiente è abitato da crostacei, primi tra tutti i gamberetti, quindi i granchi, i paguri…..

In alcuni porti esistono zone dove i pescherecci scaricano il pescato ed inevitabilmente in acqua vanno a finire scarti organici di ogni tipo i quali oltre ad essere da subito pronti per essere mangiati, restando lì sul fondo innescano, in fase di decomposizione un ulteriore catena alimentare.

I pesci lo sanno o meglio hanno imparato a conoscere questo ambiente nei minimi particolari e con la meticolosità, la costanza e la determinazione che soltanto gli animali possiedono lo battono in lungo ed il largo alla ricerca del cibo.

Le orate, tuttavia, pur non disdegnando la perlustrazione in qualunque orario della giornata, comprese le ore notturne, dimostrano di apprezzare particolarmente, per le loro incursioni nel porto, le ore immediatamente vicine al sorgere del sole quelle dell’alba.

  • Appostamento o ricerca itinerante

La categoria degli oratari si divide in due fasce distinte, ambedue hanno la loro filosofia e le loro convinzioni, ma soprattutto una non è meno importante dell’altra e viceversa.

La prima è quella che insidia gli sparidi con una tecnica che fa dell’appostamento la sua arma vincente, si impostano, infatti, almeno tre canne che vengono lanciate in acqua a differenti distanze dalla riva in modo da incrociare con più facilità il pascolo delle orate.

Se si pesca da una banchina e, se il fondo immediatamente a ridosso di questa lo permette, una canna, addirittura, viene calata in pesca a mezz’acqua, contro il muro, in maniera da sfruttare anche questo passaggio.

Questi pescatori che potremo definire “statici”, il più delle volte adottano, per incrementare le possibilità di successo, il sistema della pasturazione, raschiando le cozze dalla parete della banchina e gettandole in mare parzialmente schiacciate.

Il pericolo della pasturazione, tuttavia, è quello di ammucchiare sul luogo di pesca troppa mangianza di pesciotti che, inevitabilmente, disturbano la pescata: si tratta di saragotti, sparli, perchie e pesce da fondo in genere.

E’ anche vero però che comunque, prima o poi, da quella posizione, soprattutto se la pasturazione viene praticata costantemente da diversi giorni, le orate passeranno sicuramente e si fermeranno per un certo periodo di tempo a mangiare.

A questa prima fascia appartengono quei pescatori sportivi che conoscono perfettamente bene la conformazione del fondo al punto da aver individuato su questo, con la massima precisione i passaggi dei pesci.

In questo modo riescono a piazzare sempre le loro insidie esattamente nei punti caldi e difficilmente se le orate “girano”, vanno in bianco.  

Inoltre in questo modo è facile catturare anche diversi pesci in successione poiché un pesce allamato non disturba gli altri intenti a banchettare sulla pastura.

Le orate di media taglia, quelle dai quattro etti al chilogrammo, sono solite girare in piccoli branchi composti da quattro o cinque elementi, mentre quelle di dimensioni maggiori preferiscono la solitudine oppure la compagnia di un altro soggetto.

Le regole poi, nel ristretto ambito portuale, vengono stravolte e spesso può capitare di ritrovare sulla pastura anche due o tre branchetti oppure più orate di taglia……

Alla seconda fascia, quella di coloro che, invece: “l’orata se la vanno a cercare”, appartengono quei pescatori che passano al setaccio l’intera scogliera o calata, facendo sondaggi ora qui ora là con un paio di canne o addirittura con un solo attrezzo.

E’ una pesca itinerante basata sulla sorpresa e sull’inventiva volta a far cadere l’esca davanti al pesce mentre questo è in caccia.

Anche questi “vagabondi” conoscono bene i fondali prospicienti alla banchina o scogliera teatro della loro pescata.

L’esperienza maturata in anni ed anni di pratica li porta a sondare quelle posizioni che hanno reso in passato catture importanti.

Addirittura per molti di loro, in questo assomigliano maledettamente ai cercatori di fungi, esistono solamente alcuni punti caldi e scartano o saltano, con sufficienza e decisione, centinaia di metri di calata o di scogliera, ritenendoli improduttivi.

  • Le canne ed i mulinelli

Le attrezzature per insidiare le orate possono essere molto differenti a seconda del posto dove si pesca e naturalmente variano a seconda della distanza e della profondità.

Fondamentale tuttavia è la cima della canna che deve avere la caratteristica di essere molto sensibile, ma al tempo stesso anche in grado di consentire una buona e pronta ferrata.

Non dimentichiamo che si pesca all’interno di un porto, il più delle volte in completa assenza di corrente e che i pesci che si stanno cercando di catturare sono molto sospettosi.

Dalle canne da beach ledgering che vengono impiegate sulle distanze dai venti ai trenta metri, si passa a quelle classiche da ledgering per la pesca sulla pastura ed in sospensione contro la parete.

La lunghezza degli attrezzi difficilmente supera i quattro metri e mezzo.

Al mulinello non vengono richieste particolari prestazioni in fatto di velocità di recupero, basta infatti un buon modello potente, diciamo un “3000” caricato con filo dello 0,25 mm.

Questo tipo di mulinello si potrà tranquillamente impiegare sia sulle canne da beach che su quelle meno potenti per la pesca sotto e contro il muro.

  • La lenza

La costruzione della lenza non richiede particolari artifizi.

Il piombo, a forma di pera, da un massimo di venti grammi in giù, viene inserito scorrevole sul filo del mulinello e fermato con una girella del n. 18.

In alcuni casi, quando ad esempio il fondale sul quale si pesca non supera i quattro/cinque metri e la corrente e pressoché nulla oppure contro la parete, si pesca addirittura senza piombo, affidando la zavorra della lenza al solo peso dell’esca e della girella.

Dalla girella parte l’unico bracciolo costituito da un metro di filo dello 0,22 mm. sul quale vengono legati tre ami in serie del numero 8, storti a gambo corto e rinforzati.

  • Le esche

L’orata, una volta individuata l’esca che può essere costituita da un piccolo granchio, da un gamberetto oppure dalla cozza intera o ancora dalle piccole cozze innescate a catenella, attacca con decisione l’esca e poiché questo pesce è dotato di una formidabile dentatura stritola letteralmente il boccone tra le sue mascelle.

Inevitabilmente, questo è il motivo dell’impiego dei tre ami in serie, finisce per conficcarsi da sola un amo in bocca.

Se invece questo non accade esisteranno più probabilità di ferrare con successo con tre ami che con uno singolo.

Il gamberetto vivo che è più indicato per la pesca contro la parete, viene innescato puntando gli ami lungo il suo corpo. Solitamente si parte da quello più alto che viene assicurato al centro della coda.

Il granchietto si usa in tutte le situazioni: viene privato delle chele e da un lato di tutte le zampette.

Questa mutilazione gli consentirà di camminare ancora sul fondo ma in maniera assolutamente goffa ed anomala diventando un’esca assolutamente micidiale.

Viene innescato inserendo gli ami a cominciare dal più basso nel foro dell’ultima zampetta posteriore, quindi l’amo centrale in quello della chela e per finire con l’amo più alto che viene puntato nella cavità dell’occhio, facendo uscire la punta dalla corrazza.

Quest’ultimo amo è quello portante ovvero quello che permette di sollevare l’esca dal fondo e di resistere allo strappo (comunque contenuto) in fase di lancio.

La cozza intera si innesca dapprima sgusciata sui tre ami, quindi inserendola in un’altra cozza appena aperta cercando di tenerla più chiusa possibile.

Anche in questo caso, l’amo più alto funge da amo portante e deve sorreggere il boccone. Prendendo confidenza con questo innesco si riuscirà a piantarlo nel nervo della cozza (naturalmente di quella con il guscio), in modo che non ci sia pericolo di perdere l’esca in fase di lancio.

Infine la catenella di piccole cozze, quelle per intenderci che hanno il guscio di colore viola, grosse al massimo un paio di centimetri, si ottiene inserendo all’interno di queste un amo, non ha importanza se risulta visibile la punta o il gambo.

  • La mangiata e la ferrata

Come detto prima l’orata prima di ingoiare l’esca la mastica per bene soprattutto se si tratta di un’esca viva oppure se è contenuta in un guscio come la cozza o il granchio.

Questo masticare viene evidenziato dal movimento sussultorio della punta della canna, un movimento che da quasi impercettibile nelle prime avvisaglie diviene progressivamente sempre più chiaro e più insistito segno che il pesce è entrato nella fase immediatamente precedente all’ingoio dell’esca.

Occorre essere prontissimi in questo frangente perché potrebbe succedere che il pesce si pianti un amo tra i denti ed avvertendo l’anomalia abbia una reazione imprevedibile con una filata decisa.

In questi casi è anche facilissimo che la canna del pescatore disattento vada a finire in acqua.

Se invece la mangiata continua in maniera tranquilla a far ballare la cima della canna, bisogna attendere che questa inizi ad incurvarsi decisamente: questo è il momento giusto per ferrare.

La ferrata deve essere decisa e lunga, ma non secca, non si deve infatti rischiare di portare via dalla bocca del pesce il boccone.

Ricordiamo che l’orata il più delle volte sta ancora masticando e potrebbe avere la bocca semi aperta.

  • Il combattimento

Una volta allamata, l’orata esprime tutta la sua potenza inizialmente, in genere, con una lunga filata nella quale dà sfogo tuttavia a gran parte delle sue energie, alternata a forti “zuccate” quindi inizia un combattimento a fasi alterne nelle quali il pesce in alcuni casi sembra vinto e si lascia guidare dalla canna per poi imprevedibilmente ricominciare a lottare.

Fino alla fine sarà così per non parlare dei casi in cui tenterà l’ultima carta a sua disposizione: quella di andarsi a strusciare contro la parete della diga, densamente popolata da patelle, cozze, denti di cane, incrostazioni di corallo ecc.  per liberarsi, tentando di tagliare il filo o più verosimilmente per togliersi il fastidio causato dagli ami.

Si tratta di casi abbastanza frequenti, riscontrati in esemplari di taglia medio/grossa.

E’ quindi indispensabile essere sempre molto attenti e pronti ad anticipare qualsiasi avvisaglia di reazione o di tentativo di fuga da parte del pesce, lavorando con la canna ed il mulinello.    

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